Era un pomeriggio dell'estate del 1975. Erminio
Longhini, primario alla Divisione Campari
dell'ospedale di Sesto San Giovanni, camminava
velocemente attraverso un reparto del grande
Policlinico di Milano in cui era stato chiamato
da un collega per un consulto accanto a un
malato grave. A un certo momento, passando in
una corsia, sentì un gemito. Si guardò attorno:
una donna, accasciata in un letto, un braccio
teso a fatica verso la porta, mormorava alcune
parole incomprensibili... D'istinto, Longhini le
si avvicinò. "Le serve qualcosa?", le chiese.
"Acqua. Acqua. Ho tanta sete...". Il medico si
guardò attorno. Le altre ricoverate sembravano
tranquille. Indifferenti. Alcune leggevano.
Alcune riposavano. Al centro della corsia, una
ragazza in camice bianco puliva il pavimento
senza interessarsi a quanto le succedeva
attorno. "Scusi", disse Longhini rivolgendosi a
lei. "Non sente che quella signora sta
chiamando? Forse ha bisogno di aiuto".
La ragazza interruppe il suo lavoro e lo guardò
con aria meravigliata. "Non tocca a me", gli
rispose. "Non sono un'infermiera. Sono solo
un'inserviente". E riprese la pulizia della
stanza.
Longhini suonò il campanello a capo del letto
della ricoverata e attese l'arrivo
dell'infermiera del reparto. Le indicò la
degente, la pregò di interessarsi di quanto le
serviva e se ne andò all'appuntamento che
l'aspettava. Il piccolo episodio l'aveva
lasciato sconcertato. "Non tocca a me",
continuava a ripetersi. "Non tocca a me...".
D'accordo, l'inserviente aveva formalmente tutte
le ragioni del mondo. Il medico non c'era.
L'infermiera non era presente nella sala e stava
di sicuro occupandosi di qualcun altro. Le
malate di quella corsia avevano già abbastanza
preoccupazioni per loro stesse per dar retta a
un lamento a cui, forse, erano abituate. Ma
quella donna aveva un sia pur piccolo problema
da risolvere e nessuno se ne faceva carico.
"Non tocca a me", aveva detto l'inserviente. "E
allora", continuava a domandarsi Longhini, "a
chi tocca?"
Dopo il consulto, tornò nel suo ospedale, a
Sesto San Giovanni.
La sera stessa incontrandosi con un gruppo di
amici decise di raccontare loro il piccolo
episodio: gli sarebbe tanto piaciuto trovare una
risposta a quella semplice domanda.
Longhini, medico da più di vent'anni, proponeva,
infatti, di operare all'interno di una struttura
sanitaria per portare fra gli ammalati una
solidarietà "nuova", offerta gratuitamente da
cittadini comuni che si facessero carico dei
loro problemi psicologici e umani.
La discussione fu lunga. Alla fine, insieme con
lui, gli amici scoprirono che la risposta non
avrebbe potuto essere che una: "A ciascuno di
noi. A ogni cittadino". Chiunque, infatti,
dovrebbe sentire il dovere di partecipare in
modo diretto al miglior funzionamento del "bene
comune", non accontentandosi di "deleghe" (pur
votate con fiducia) a persone che considera suoi
rappresentanti, ma impegnandosi, per quanto è
possibile, in prima persona.
Fu proprio quella sera dunque che prese l'avvio
l'idea di creare una organizzazione di
volontariato ospedaliero.
L'iniziativa, fu deciso, sarebbe stata
sperimentata nell'ospedale di Sesto San Giovanni
in cui, dopo aver ottenuto i necessari permessi,
sarebbero stati inseriti quanti avessero
accettato la proposta di entrare nelle corsie
per "umanizzare" la vita dei degenti.
Decisa la strada su cui incamminarsi, il gruppo
di amici di Erminio Longhini cercò subito di
concretizzare il progetto. Ognuno di loro si
impegnò in un compito ben preciso: trovare
l'appoggio dei responsabili dell'ospedale, per
prima cosa. Esaminare l'iniziativa con i
sindacati sanitari e cercare i volontari.
Prevedere per loro un'adeguata preparazione e
coinvolgere la stampa perché se ne facesse
portavoce.
Fu un momento di grande impegno ma anche di
grande entusiasmo: al primo piccolo gruppo di
amici si unirono altre persone che donarono
tempo e capacità perché questa speranza (che
sembrava quasi un'utopia) si realizzasse. Uno di
loro offrì anche alcuni locali nei quali si
installò il quartier generale di tutte queste
operazioni.
Finalmente il 6 maggio del 1976, nell'aula
Borghi del Policlinico di Milano, ebbe inizio il
primo corso di formazione per i futuri
volontari.
L'AVO era finalmente una realtà.
da G. Pelucchi, Proposta AVO, Edizioni
Paoline
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